lunedì 30 dicembre 2013

natale


Natale, che periodo strano. Sono giorni essenzialmente fatti di ricordi, ma anche giorni di propositi e di progettazione personale. Natale è il momento in cui ognuno di noi (poco o tanto) decide e si trova fermo a guardare a quanto è stato e a pensare a quello che vorrebbe accadesse.

Per me il Natale è un periodo nel quale fermarsi a rivedere. E’ il momento perfetto per tirare le fila di tutto quanto e dare un bel giro di vite a tutto quello che è in piedi. Non mi ha mai chiesto nessuno, direttamente cosa è il Natale, ma ho sempre trovato persone che hanno in qualche modo cercato di trovare delle risposte sulla base di quanto vivevo io. Ovviamente non perché sia il guru del Natale, ma perché dal confronto si imparano tante cose (io faccio spesso così).

Non voglio stare qui a fare il filosofo, a cercare di spiegare o ragionare.

Mi piacerebbe soltanto che chi deciderà di leggere queste poche righe si impegni per un secondo a pensare a quanto è stato bello questo anno appena passato. Solo cinque minuti, tre minuti o anche meno se necessario. Ma spero solo che qualcuno decida di farlo.

Per il resto non posso fare altro che augurare a tutti un sereno Natale. Un Natale leggero dalle preoccupazioni, caldo di affetto.

mercoledì 11 dicembre 2013

autoproduzione

Quello che sto pensando in questi giorni è qualcosa di confuso e di davvero caotico.
Ho in mente un sacco di cose, come ultimamente mi capita con frequenza. Non sono, per fortuna, cose negative, ma sono comunque pensieri che affollano la mia mente. Sono idee, immagini ed ogni sorta possibile di ragionamento che nasce da qualsiasi tipo di stimolo e che si propaga senza sosta nella mia mente.
Non nascondo neanche che questo diffondersi non mi dispiace. Lo vedo finalmente come creazione di pensiero positivo e stimolante e chissà che non riesca a trovare il modo per autoprodurlo.
L’idea di possedere questa capacità mi elettrizza, perché mi metterebbe nelle condizioni di possedere le competenze per trasformare ciò che sto facendo in qualcosa di positivo, sempre. Mi darebbe la possibilità di filtrare quanto accade mantenendo ciò che di positivo esiste.
Sarebbe un nuovo punto di partenza incredibile che mi permetterebbe finalmente di trovare un nuovo punto di vista dal quale guardare le cose.
Non vorrei passare per quello bramoso di controllo, perché non è vero, ma per una volta mi piacerebbe passare per quello che sta provando a capire se si può davvero trarre il positivo da quanto si vive.

martedì 3 dicembre 2013

qualità

Cosa si intende quando si parla di qualità della vita?

E’ appena uscita dal mio ufficio una signora, avrà avuto almeno 78 anni. Vestita non dico di stracci, ma quasi. Aveva con sé un sorriso sincero che nascondeva a fatica la sdentata dentiera e mostrava da sotto la cuffia di lana due occhi rotondi e vispi.
Quando le ho chiesto di cosa avesse bisogno, mi ha messo davanti una specie di cartoncino plastificato sul quale c’era scritto che era una sordomuta sola e chiedeva di comprare alla cifra di pochi euro una specie di “dizionario” dei segni che aveva fatto lei e che, a prima vista, sembrava anche chiaro e semplice da usare.
Con questo sorriso sulla faccia aspettava che le facessi capire se sarebbe stata mia intenzione comprarlo o no. Nel momento in cui le ho fatto capire che non mi serviva quel dizionario perché non avevo nessuna necessità di conoscere il linguaggio dei segni, ma che ero comunque disposto a darle quei pochi euro quantomeno perché si potesse permettere un pasto, mi ha fatto subito capire che non li voleva; sempre sorridendo, mi ha fatto capire che non era lì per chiedere l’elemosina, ma per aiutare qualche sordomuto come lei ad essere capito da tutti.
Detto questo mi ha mandato un bacio con la mano e se ne è andata sorridente.
Non è questa la qualità di vita che tutti ci auguriamo?
Vi prego di analizzare la situazione in tutta la sua globalità.

martedì 26 novembre 2013

nuove

Eccomi nuovamente a scrivere sulle pagine del blog. Periodo di assenza dovuto ad un sacco di novità che in apparenza non si vedono, ma che in realtà mi hanno coinvolto e mi hanno anche abbastanza rivoluzionato.

La ricerca della felicità continua in modo molto fluido e non posso lamentarmi in nessun modo. Mi rendo conto quotidianamente che, alla fine, non è importante quante volte ripeti un gesto, ma come lo ripeti. Mi rendo conto che è fondamentale comprendere per usare e che è inutile ripetere per copiare. E’ un periodo in cui inizio a raccogliere i frutti di quanto seminato in precedenza. Sto scoprendo davvero come usare per trarre profitto.
Credo che questo sia un salto di qualità interessante.
Vorrei fermarmi a riflettere su questo proprio perché credo fortemente che la forma sia soltanto un modo di apprendere. Sono convinto (l’ho provato personalmente) che se si scoprisse la bellezza di questo l’apprendimento diventerebbe più semplice ed intuitivo creando una maggiore qualità della consapevolezza.
Si dice spesso che bisogna essere contenti di quanto si ha senza invidiare ciò che ci manca ed io aggiungo che se quanto abbiamo è di una qualità superiore non possiamo fare altro che essere ancora più contenti.
In questo modo la vita diventa allenamento quotidiano ed inconsapevole perché saremo orientati naturalmente verso ciò che abbiamo imparato a valutare come di buona qualità. L’allenamento non è più il momento, ma è la quotidianità. La vita diventa il nostro unico strumento di confronto e l’unico metro di paragone reale.
Non si deve immaginare cosa accadrà, ma stare in ascolto per muoversi di conseguenza non prima, né, tantomeno, dopo. Perché fasciarsi la testa prima di rompersela? Oppure perché rompersela ed essere costretti a fasciarsela? Non si può ascoltare cosa succede e magari evitare entrambe le situazioni?

martedì 5 novembre 2013

come essere

Una cosa che mi ha lasciato un po’ confuso in questi giorni è stata una frase che ho sentito pronunciare quattro giorni fa mentre ero in una sala d’attesa.

Due persone, probabilmente amici, parlavano di una vicenda accaduta ad una delle due quando il più anziano si è rivolto al proprio interlocutore dicendogli che quanto è successo è stato principalmente colpa sua in quanto avrebbe dovuto dimostrarsi più “cattivo”. Il sunto del suo lungo discorso è stato che per vivere a questo mondo bisogna imparare ad essere “cattivi”.
Lì per lì mi sembrava un discorso già sentito, poi, nell’attesa ho pensato un po’ e mi sono chiesto perché mai dovrei imparare ad essere una cosa che non sono.
Io vivo bene anche se mi comporto da “buono”.
Devo imparare ad urlare? Ad insultare?
Chi è il cattivo? Chi è il buono?

martedì 29 ottobre 2013

ascolto di sé

Cosa succede quando ci si trova in una situazione dalla quale si pensa di non poter uscire più? Cosa capita quando ad un certo punto ci si trova letteralmente sotterrati da una cappa di pesante negatività che governa le giornate? Cosa succede quando questa non si riesce per nessun motivo ad eliminare e sembra diventare parte di noi?

Cosa vuol dire quando ci si sveglia nel cuore della notte e si riesce a vedere nel buio quasi come se fosse giorno ed il primo raggio di luce (fosse anche la lucina rossa del televisore) dà così tanto fastidio da far bruciare gli occhi?
Cosa vuol dire quando si vive la propria vita sapendo perfettamente chi è la persona che abbiamo davanti anche se la vediamo per la prima volta? Come si può essere in grado di guardare gli occhi di qualcuno e capire perfettamente chi è?
Cos’è che succede davvero quando senti scorrere dentro di te un’energia oggettivamente negativa che però ti scalda le mani al punto che pensi stiano per scoppiare? Come fare a buttarla fuori?
Come si chiama quella cosa che riempie il cervello e lo manda quasi in tilt? Come si fa a liberarsene?
Di chi è quell’energia che senti vicina e che non hai ancora imparato a capire se è buona o cattiva?
Cos’è quella cosa che ti porti dietro e che ti fa un sacco di paura? Come si fa a liberarsene?
Perché il cuore batte anche sottopelle alle volte? Come è possibile che si possa sentirne il profilo appoggiando la mano sul petto?
Quale forza governa tutto ciò? Come fare a gestirla?

venerdì 25 ottobre 2013

mancanza

Eccomi nuovamente dopo un nuovo ed abbastanza lungo periodo di assenza. Come dicevo questo è per me un periodo abbastanza complicato, non per problemi, ma per difficoltà nel far coincidere molte attività.

In tutto questo io continuo la mia ricerca della felicità.

Una riflessione che ho in mente da qualche tempo ormai e che trasferisco così come mi si è proposta riguarda la negatività in generale. Cerco di spiegarmi meglio. Quello che noto è che praticamente nessuno condivide con le altre persone i momenti piacevoli, ma soltanto quelli spiacevoli.

Non esiste più la condivisione del positivo, ma soltanto del negativo, quasi come se ci fosse una gara a che soffre di più.

Non mi viene semplice da spiegare, ma credo di essere riuscito a trasmettere la sensazione.

E’ come se mancasse l’allenamento ad individuare gli aspetti positivi. Un semplice esempio può confermare quanto sto dicendo:

Se vi chiedessi di trovare dieci aspetti negativi e dieci positivi di voi, quali vi verranno più facili da individuare?

Facendo un analisi un po’ più approfondita scopriamo che la società in cui viviamo ci spinge a notare e far notare tutto ciò che c’è di negativo lasciando in disparte quanto invece di positivo è evidente.

Domanda: Non è questo un grosso impedimento alla felicità?

raccontacelo@gmail.com

giovedì 10 ottobre 2013

valore

Tratto da un dialogo:

"Tu hai detto che inizi a pensare di non meritare nulla. Hai usato un’espressione molto forte, troppo forse. Questa volta hai detto troppo.
Anche il più malato dei cani si merita una ciotola d’acqua fresca.
Come ti dicevo dovresti provare a vedere di cambiare il punto di vista. Non pensare sempre che se c’è un problema sei tu. Ci sono buone probabilità che quel problema ti riguardi, ma dall’esserne coinvolta all’essere il problema c’è ancora un po’ di strada che si deve fare.
Sii semplice! Vuoi ridere, ridi! Vuoi piangere, piangi! Ma non cercare di risolvere i problemi come se tu ne fossi sempre la causa. PERDI TEMPO!! E poniamo anche il caso che tu sia la causa del problema..riconosci lo sbaglio e risolvi. Ci vogliono 10 secondi a renderti conto se hai fatto una minchiata o no. Ma non di più. Perdere il tempo a pensare che non vali niente è tempo che nessuno ti darà indietro. UGUALE: tempo perso.
La mente umana è ingannevole. Riusciamo a prendere una cosa evidentemente stupida e a convincerci che sia corretta, ma non riusciamo a fare il contrario! Perché? Come diavolo è possibile che non riusciamo a vedere ciò che di buono facciamo?
Tu arrivi a pensare di non meritare nulla..ma non è come pensare che chi ti sta intorno non merita nulla? Le persone che hai intorno vivono di te (volenti o nolenti..per il buono e per il cattivo..per le lacrime e per il sorriso) e come può una persona che contribuisce a far vivere gli altri non meritare nulla? Come puoi pensare che si possa vivere senza di te?
Pensa per un secondo di sparire.
A chi dedicherei il mio affetto? Cioè..il mio affetto che è esclusivamente tuo? Non è vero che potrei dedicarlo ad un altro essere vivente, perché non è una parte di qualcosa che viene diviso e percentualmente distribuito ad un numero X di persone. E’ qualcosa che naturalmente nasce da me per te e cresce nella misura in cui tu lo alimenti. Diventa ciò che ti serve ed alimenta allo stesso tempo la mia fiammella. Se non ci fossi quella parte non esisterebbe e non contribuirebbe tutti i giorni a farmi crescere.
Ciò che nasce è perché non c’era. Non esiste una quantità al di là della quale tutto si interrompe. Non esiste un 100%. Ma solo qualcosa che cresce e si scambia, che diventa tutto un insieme e che è necessario. E tutto perché? Perché un giorno qualcuno entra in qualche modo nella vita di qualcun altro.
Come può non meritare nulla una persona che fa questo? Come puoi pensare di non meritare nulla?
Cosa vuol dire non meritare nulla? Cos’è il qualcosa che dovresti meritare e che ti manca?
Il fatto che ci sia un problema non vuol dire che smetti di meritare qualcosa. Significa solo che c’è un problema che va risolto. Sii semplice. Risolvilo e ti sembrerà magicamente di tornare a meritare tutto quello che oggi ti manca."
 

lunedì 23 settembre 2013

foglio bianco


Ciao! Saluto tutti perché è da un po’ che non scrivo più, ma non ho abbandonato l’idea, ho semplicemente quasi finito un periodo di convulso lavoro e sto pian piano ritornando alla normalità.
Quello che vorrei fare oggi è semplicemente mettere a disposizione di chi legge un foglio bianco.
Voglio dare un input e vedere cosa succede.
Voglio lasciare spazio.

Chi se la sentisse può continuare la frase.
Potete anche scrivermelo in privato, sulla mia mail.
MI PIACEREBBE…

raccontacelo@gmail.com



martedì 27 agosto 2013

serve?

Ciao a tutti, dopo un periodo di riposo forzato dovuto ad un sacco di lavoro posso riprendere a scrivere abbastanza in tranquillità. In questo mese non ho avuto molto tempo per dedicarmi ai miei soliti ragionamenti ed ora mi sento un po’ se come la mia ricerca della felicità avesse ricevuto una battuta d’arresto. Ieri sera, però, la mia testa ha cominciato nuovamente a produrre pensieri quasi come se naturalmente si fosse in un certo senso”riattivata”. Mi sono fermato a pensare ad una frase che mi è sembrata subito interessante. Qualche giorno fa ho sentito un papà che parlava con il proprio figlio. Il bambino gli ha chiesto in modo molto semplice come facesse a decidere, tra le mille cose da fare, quale fosse più importante di un’altra. L’uomo, dopo averci pensato un po’, ha dato una risposta molto chiara e, secondo me, molto intelligente. Ha detto al figlio: “tutte le volte mi chiedo se ciò che sto per fare serve!” Può sembrare una risposta stupida, ma credo che abbia un senso profondo. Se ce lo chiedessimo tutte le volte che abbiamo intenzione di fare un’azione (dovremmo però essere dell’idea di ascoltarci nel momento in cui ci poniamo la domanda) ci troveremmo di fronte ad una scelta naturale orientata al meglio. Facciamo un esempio. Devo cambiare il telefono. Sto per comprarlo e mi chiedo: serve che lo compri? Voglio dire, quello che ho in mano e che voglio cambiare è rotto? Lo cambio solo perché voglio un telefono nuovo o serve davvero che ne prenda un altro? Questa modalità ci mette di fronte ad una serie di domande che ci possono permettere di raggiungere una visione d’insieme più completa e profonda. Ditemi cosa ne pensate. raccontacelo@gmail.com

martedì 23 luglio 2013

attenzione

Qualche giorno fa ho avuto modo di fermarmi un attimo a riflettere su una frase che ho sentito da una persona che stava parlando amichevolmente probabilmente con un amico o un conoscente e di cui non so perché non li conosco. La stessa frase è anche ripetuta in una pubblicità che in questi giorni abbiamo modo di vedere spesso in televisione.
“Dedica molto tempo a poche cose” è la frase in questione.
Penso che questo sia il metodo migliore per imparare. Ma in generale per imparare davvero qualcosa. Quando parlo di imparare davvero intendo fare in modo che ciò che sto cercando di apprendere rimanga davvero radicato nella mia mente al punto che diventa naturale.
Sono arrivato a questa conclusione dopo anni che mi dicono di fare e non preoccuparmi, dopo anni di dubbi che mi venivano e che mi facevano chiedere il perché si dovesse ripetere in continuazione qualcosa che si sapeva già.
Quello che è successo, in breve, è che dopo anni che ripetevo le stesse cose che sapevo già ho scoperto che in realtà non le sapevo per niente. Dopo anni che le facevo ho capito, ho trovato il modo corretto ed ora sto rifacendo con l’idea di migliorare il più possibile ciò che sono sicuro essere sulla strada giusta.
Il discorso non è facilmente comprensibile perché non è superficiale e va visto nella profondità della sua difficoltà, ma per spiegarlo in maniera chiara basta pensare ad una scimmia che ripete un movimento umano. Se addestrata ci può volere relativamente poco perché una scimmia possa imparare a ballare. Ma ballare davvero non è così semplice.
Un buon risultato si raggiunge facendo molte volte una cosa, stando il più possibile presenti mentre la si fa, ascoltando quanto accade e cercando di interiorizzare ciò che si sente essere corretto.
Il resto viene naturalmente senza che ce ne accorgiamo.
Molto tempo per poche cose ed aggiungerei la parola consapevolezza.
“Dedica molto tempo consapevole a poche cose”

martedì 16 luglio 2013

fare

E’ come se sentissi che è giunto il momento di fare qualcosa. Ho imparato in questi anni a riconoscere una sensazione positiva da una negativa ed ho imparato a capire che una sensazione positiva, ovviamente accompagnata da una giusta dose di presenza, può essere il segnale che ciò che si è intrapreso sta sulla strada giusta.
Ecco, in questo periodo, sono dell’idea che si debba fare qualcosa. Sento forte questa necessità che è accompagnata da molte sensazioni positive.
Penso sia giunto davvero il momento di mettere in piedi qualcosa di nuovo, qualcosa che parta da poco con l’idea di diventare tanto. Sto pensando ad un sacco di idee e non voglio nascondere l’entusiasmo. Sto pensando che ora come ora mi sento stretto e che devo fare in modo di sentirmi a mio agio.
Le continue conferme che ricevo mi stimolano ancora di più a perseguire ciò che era un sogno fino a qualche tempo fa e che ora diventa un obiettivo; qualcosa che sta prendendo sempre più una forma specifica e sta diventando sempre più reale.
E’ ora di fare in modo che mattone dopo mattone, prenda forma l’idea che sto seguendo. Il resto non potrà che essere meraviglioso.

mercoledì 10 luglio 2013

tutto subito

Essere in quella fase di vita in cui si vuole tutto subito non è una cosa piacevole. Bisogna allenarsi a rallentare il più possibile e valutare le priorità. Non è facile. Ma quale può essere il modo migliore? C’è chi dice di contare fino a dieci e chi chiude gli occhi e prende un respiro, ma mi sembrano metodi un po’ artigianali un po’ come il trattenere il respiro per far passare il singhiozzo.
Come al solito non siamo qui a trovare soluzioni, ma a fare un’analisi.
Credo si possa dire che ognuno di noi ha un momento o più momenti in cui vuole tutto immediatamente o vuole che un risultato per il quale bisogna naturalmente aspettare appaia immediatamente e sia immediatamente visibile. Il problema è che questa situazione è quella che potenzialmente può causare dei gravi danni perché può portare a decisioni affrettate.
Non so.

martedì 2 luglio 2013

confronto

Cosa scatta nella mente delle persone, ad un certo punto, in maniera assolutamente inaspettata, che le cambia rendendole irriconoscibili?
Provo a porre la domanda anche al contrario in modo da analizzare anche l’altro punto di vista: cosa scatta nella nostra mente, ad un certo punto, in maniera assolutamente inaspettata, che ci fa vedere le persone in maniera completamente diversa e che le rende assolutamente irriconoscibili?
La domanda è, come al solito, molto strana e chi mi legge sa di questo “difetto” dal quale parto sempre alla ricerca di una logicità.
Sto pensando a tutte quelle situazioni in cui un rapporto finisce.
Quello che era meraviglioso diventa terribile tanto da non poterlo più sopportare. Iniziano i dubbi, si inizia a porsi delle domande e ci si rende conto pian piano che sta finendo tutto.
Ho posto la domanda nel duplice senso perché alle volte capita di rimanere lì, imbalsamati, senza capire il perché di una fine. Anche se si prova a dare una spiegazione non si riesce e non si fa altro che aumentare i dubbi. Rimane soltanto il fatto che si resta da soli.
Altre volte siamo noi che notiamo il cambiamento di qualcuno e nel momento in cui si cerca un confronto si resta a piedi.
Il problema che deduco da quanto detto è il confronto. In entrambi i casi o manca del tutto o, quando lo cerchiamo, viene evitato.
Quale paura può starci dietro?
Come fare a non fare paura?
Cerco sempre di seguire un filo che sia il più lineare possibile. Cerco di ricordarmi sempre che non sono sempre gli altri che sbagliano, ma che posso essere anche io la causa di certi atteggiamenti di cui mi accorgo. Tutto ciò che è stato scritto in precedenza tiene conto di questo e analizza una situazione in cui il cambiamento repentino è oggettivamente dovuto ad altri (per riferimenti specifici fate riferimento alla mail privata del blog). Il presente articolo non vuole fare riferimento a fatti accaduti all’autore, ma come al solito, cercare di stimolare pensiero.

mercoledì 26 giugno 2013

difficoltà

Non voglio pubblicare nessuna riflessione questa volta. Neanche stimolare pensiero.
Ho bisogno soltanto di condividere.
Sto facendo fatica. E' un periodo in cui faccio fatica e mi chiedo come mai. Ma non so rispondere.
Rimango sempre felice, ma con una fatica davvereo importante. Non mi sento abbattuto, ma è come se stessi facendo qualcosa con il freno a mano tirato.
Non capisco, forse non è necesario.
Mi chiedo, forse inutilmente.

Mi rendo conto che forse dovrei soltanto vivere come tutti i giorni, ma è come se non ci riuscissi.
Ripeto, non mi sento né triste, né depresso, solo un sacco affaticato. Ma affaticato nello spirito oltre che nel corpo.

E' una sensazione che non provavo da davvero tantissimo tempo e che non mi ricordavo neanche come fosse. Riesco per fortuna a viverla meglio, ma in modo comunque impegnativo.
Vado avanti per forza, è quello che non posso e non devo non fare.
Ho iniziato un lungo percorso che non prevede soste e non contempla il poter tornare indietro.

Vado avanti come al solito anche se più lentamente.
Vado avanti come al solito, con le persone che mi stanno vicino.
Vado avanti da solo, perché molte cose vanno fatte da soli.
Vado avanti. Punto.

raccontacelo@gmail.com

martedì 18 giugno 2013

vita e lavoro

Eccomi di ritorno dopo una lunga pausa di riposo. Era quello che ci voleva per ricaricare le batterie e ripartire al meglio.
Nonostante tutto ho avuto molti spunti di riflessione in questo periodo e quello che vorrei mettere sul tavolo oggi mi fa pensare a chi abbia davvero ragione tra chi lavora per vivere e chi vive per lavorare. E’ uno di quegli eterni dubbi che rimarranno probabilmente irrisolti nel tempo, ma che ogni tanto mi piace affrontare per scoprire magari qualcosa di nuovo.
Io, da sempre, sono stato sostenitore del lavorare per vivere, perché credo esistano un sacco di cose che si possono fare al di là del lavoro che deve essere lo stimolo per andare avanti, ma dall’altra parte, senza un lavoro è anche difficile riuscire a vivere bene. Insomma..mi trovo a lavorare per vivere, mentre vivo per lavorare..dicendo questo mi viene in mente una simpatica fotografia di un muro con graffito che riportava la scritta “lavoro per comprare la macchina per andare al lavoro”.
Come tutto ciò che viene pubblicato su questo blog, non si vuole dare nessun parere o opinione personale, ma semplicemente stimolare il ragionamento.

mercoledì 5 giugno 2013

domanda

Da una citazione: "Posso chiederti quanta fatica stai facendo? Si vede tutta..basta guardarti un secondo negli occhi. Sembrava quasi che ridessi per non piangere..alcune volte ti fissavo, ma non per chissà quale motivo, perché non potevo non guardare lo sguardo grigio che accompagnava un’espressione abbastanza vaga e lontana.
Tu, con me, hai vinto un rompipalle…sappilo…e ho intenzione di dirti tutto quello che non mi torna (spero tu voglia fare lo stesso).
Capisci come usare il tuo spazio personale, è il momento!
Ti voglio dare un suggerimento.
Immagina di voler rendere “bella” una casa vecchia e piena di cose. Il primo passaggio da fare è svuotarla per renderti conto di quanto è grande per trovare il modo migliore di sistemarla. Ma è piena di cose! Se le sposti da un lato all’altro non fai altro che stancarti ed averle lì sempre tra i piedi. Hai bisogno di una stanza dove poterti mettere con tutta la tranquillità ad aprire scatoloni e guardare cosa c’è dentro. Fatto questo puoi decidere cosa tenere e cosa scartare.
Il senso di quello che ti ho detto qualche tempo fa è che non potrai buttare via nulla di quello che non ti serve, sarebbe troppo semplice, ma puoi togliere da dentro tutto e depositarlo in un posto dove rimarrà. Hai un posto dove fare ordine. Da lì, prendi man mano quello che ti serve e portalo dov’era. Quello che avanza lascialo lì. Nessuno lo butterà, ma essendo un posto tuo ogni tanto dovrai tornare per metterci qualcos’altro che non serve per riscoprire, magari, qualcosa che avevi lasciato lì e che è diventato utile.
Questo è l’unico modo che penso aiuti davvero..sia me, perché ormai ho preso un impegno e sono il “guardiano” di quel luogo, ma anche te perché, ormai, le scelte vanno fatte (con la giusta urgenza ovviamente).
Non voglio sapere le tue cose, non devi dirmi nulla. Devi solo fare quello che senti, io mi renderò conto e ti farò da specchio. Da me potrai capire come stanno andando le cose, perché rifletterò il tuo sguardo. Se sarai felice, ma felice davvero, io lo sarò con te…ma anche al contrario…
Perché faccio questo?
Non lo so. Non ti conosco da molto e ti ho vista poche volte, ma sento di condividere con te come una parte di vita passata. Non sono una specie di samaritano, sto solo imparando a volere bene."
raccontacelo@gmail.com

mercoledì 29 maggio 2013

condividiamo

Un altro ragionamento che mi segue in questo periodo è quello relativo alla condivisione dei sentimenti. Io parto sempre da lontano, ma pian piano provo a restringere il cerchio in modo da rendere il più possibile comprensibile ciò che sto dicendo.
In questi anni sto maturando la convinzione che si debba condividere anche ciò che di positivo ci capita. La tendenza, ascoltando un po’ i discorsi che si fanno e seguendo le notizie dei giornali, è quella di condividere soltanto quanto di negativo succede. Mi rendo conto che per una testata giornalistica la “brutta notizia” è quella che attira l’attenzione dei lettori, ma non vorrei si corresse il rischio di indurre le persone a pensare soltanto negativamente.
Quello che sto facendo in questi giorni è condividere quanto di positivo mi sta accadendo, cercando di prendere il negativo e trasformarlo in insegnamento. In questo modo mi trovo a vivere una giornata felice per due motivi essenziali: ho vissuto qualcosa che mi ha portato sensazioni positive e, in più, ho imparato qualcosa.
Come mai questo? Perché alcune persone che ho vicine stanno soffrendo, ed io con loro. Cercare di strappare un sorriso è complicato, ma la gioia del riuscire è enorme.
Condividere ciò che accade serve perché ci dà la possibilità di mettere nelle mani di qualcun altro una parte di noi. Per quello che si sente in giro dovrei dire che condividere ciò che accade ci dà la possibilità di mettere nelle mani di qualcun altro la parte negativa di noi, ma non nascondo che storco il naso quando leggo questa frase.
Si può e si deve condividere quanto di bello succede. Quanto di negativo non va ignorato, ma va consapevolmente analizzato perché se è vero che sbagliando si impara allora dovremmo essere quantomeno disposti ad imparare dagli errori.
Si piange perché si è tristi e l’immaginario della persona che piange è quello della persona triste.
Sembra che nessuno pianga più per la gioia, anche se io qualcuno lo conosco.

martedì 21 maggio 2013

scoperta

Mi lascia molto perplesso il fatto che più una persona cerca di scoprire, ragionare, ricercare, approfondire qualcosa e più non ci riesce. Resto colpito però, dalla forza con cui si manifestano tutte le cose che stavamo cercando di vedere e che si presentano così, senza nessuna sollecitazione un martedì mattina mentre aspetti che sia pronto il caffè, ancora un po’ addormentato.
E’ per me un periodo di scoperte, mi sto stupendo dell’acqua calda, e sono felice per questo.
Mi sto stupendo di moltissime cose e ne sto raggiungendo molte altre con molta semplicità.
Insomma, sto imparando.
Per questo ringrazio.

martedì 14 maggio 2013

consapevoli

Altro livello di consapevolezza riguarda la capacità di essere coscienti di ciò che accade partendo da noi stessi. Cerco di spiegarmi partendo da uno domanda strana:
se una persona ci chiedesse di muovere un dito, noi saremmo sicuri di muovere effettivamente quel dito e non tutto il resto? chiedo scusa se sembrano discorsi sconclusionati, apparentemente incomprensibili, ma vi assicuro che vengono da un ragionamento molto profondo e maturo che è iniziato molto tempo fa.
La domanda parte, come sempre, da me perché senza la conoscenza di ciò che sono io, non potrei andare alla ricerca di altro. Ma riprendiamo il discorso.
Pensiamo di dover scrivere sulla tastiera di un computer. Per schiacciare un tasto, basta un dito soltanto, ma se ci facciamo attenzione noteremo come saranno anche tutte le altre dita a muoversi insieme, di conseguenza, alla mano che farà muovere l’avambraccio causando un movimento del gomito avanti ed indietro e, certe volte, addirittura un movimento delle spalle. Insomma, per scrivere al computer uso tutto il braccio ed anche qualcosa in più. E’ possibile? Poi, è possibile muovere soltanto ed effettivamente il dito? La risposta è si. Ma non è facile.
Questo ragionamento è applicabile a tutto ciò che facciamo, non soltanto di fisico. Abbiamo un problema da risolvere e siamo convinti di affrontarlo, invece lo stiamo evitando, magari con tutta la buona volontà di volerlo affrontare e con la convinzione di affrontarlo. Siamo convinti di fare una cosa che in realtà non stiamo facendo!
Dove sta la consapevolezza? Credo nella semplificazione al minimo indispensabile.
Uso un altro esempio di tutti i giorni.
Vorrei coinvolgere chi legge in un esperimento molto semplice. Mettetevi in piedi e state dritti.
Quando siete convinti di aver assunto la posizione corretta state fermi e ragionate su alcuni punti:
-          Siete rilassati? (ascoltate cosa dicono le vostre spalle) Se no rilassatevi.
-          Dove state guardando? (Da questo, dopo un po’, dipenderà l’inclinazione della vostra testa).
-          Il vostro mento è allineato con la linea verticale immaginaria che lo unisce con la punta dei vostri piedi? (se si allora, forse, avete dritta la testa).
-          Le spalle sono ricurve su loro stesse? (la parte superiore della schiena sarà ricurva anch’essa).
-          Il bacino? E’ allineato con la colonna vertebrale? Se è orientato diversamente siete sconnessi.
-          La punta dei piedi guarda davanti?
Questo è un piccolo gioco per cercare di spiegare cosa intendo col dire che siamo convinti di fare una cosa senza essere in grado di farla. Io sono 28 anni che sto in piedi, ma mi sto accorgendo di non essere in grado di farlo.
Lancio ora una pietra senza tirare indietro la mano ponendo questa domanda alla quale lascio risposta aperta:
tutti noi siamo al mondo da anni ormai. Siamo sicuri?

martedì 7 maggio 2013

ti scrivo una lettera

Cara bambina,
sei nata oggi ed ora stai cercando di riposare dopo la fatica del parto. Queste parole solo per salutarti in un modo un po’ personale.
Avremo modo di conoscerci e di approfondire il nostro rapporto, ma per ora voglio soltanto farti tutti i miei migliori auguri di buona vita.
Non so cosa ti succederà da domani, ma so soltanto che avrai bisogno dell’aiuto di molte persone, ti prego, non vergognarti mai di chiederlo.
Ti scapperà da ridere, da piangere, da urlare, avrai voglia di saltare, correre, cantare e, ti prego, fallo.
Non preoccuparti del giudizio degli altri, su questa terra contano quanto te e ognuno dovrà sempre rendere conto per sé di quanto è riuscito a fare (sempre che riesca a fare qualcosa).
Ascolta i tuoi genitori, ma fai quello che realmente desideri. Loro sanno che dovranno in qualche modo staccarsi da te prima o poi e soffriranno comunque.
Fai sapendo che se farai bene sarà soltanto merito tuo, ma anche se farai male.
Sii sincera sempre, anche se non tutti lo saranno con te.
Sforzati di capire a fondo le cose, non vivere superficialmente. Il mondo, oggi, ha bisogno di persone che vivono e non che sopravvivono.
Non cercare di capire le persone, perché intanto non serve. Impara piuttosto ad ascoltarli e li capirai senza volerlo.
Racconta tutto quello che ti succede. Parlare serve a liberarsi di tutto ciò che non va e a condividere tutto ciò che ti fa gioire.
Ricordati due parole indispensabili: grazie e scusa.
Sorridi. E’ indispensabile.
Ama. Sempre.
Un abbraccio.

martedì 30 aprile 2013

upgrade

Sto, per mia fortuna, scoprendo un sacco di cose molto interessanti che riguardano la mia vita in generale. Questa  scoperta mi rende davvero felice. Sto imparando un sacco di cose che riguardano la vita quotidiana e (dal semplice versare il caffè in una tazzina al modo migliore per fare un’attività lavorativa complessa).
Quello che mi rende davvero entusiasta è che inizio davvero a rendermi conto di ciò che succede.
Io sono sempre stato dell’idea che fare bene una volta può essere fortuna, due può essere ancora molta più fortuna, ma tre volte inizia ad essere strano. Allenando la capacità di imparare si scopre che si può monitorare concretamente tutto ciò che succede abituando il proprio corpo ed il proprio cervello a registrare passivamente quanto accade. La conseguenza? Che immediatamente ci si accorge di quanto succede, in diretta, forse ancora prima di capire realmente quanto accaduto.
Tutto questo è sconvolgente, ma ancora più sconvolgente è quando ci se rende conto di ciò che da questo momento in avanti si può fare e della facilità con cui lo si può fare.
Credo di aver fatto il salto di qualità, il primo di una serie. Posso quasi affermare con certezza di aver chiaro il traguardo che mi porterà a fare l’ulteriore ed immediatamente successivo upgrade.
Uso questo termine perché credo che sintetizzi perfettamente la sensazione. Nel momento in cui facciamo un aggiornamento hardware/software (gli esperti in materia vorranno perdonarmi per gli errori) al nostro computer ci troviamo immediatamente in grado di poter utilizzare nuove funzionalità fino ad allora inesistenti. Sappiamo che il nostro PC le ha installate e le ha pronte e disponibili immediatamente, ma noi dobbiamo ancora “prenderci la mano” ed imparare ad usarle. Tempo poco ecco che sono nostre e diventano funzionalità perfettamente acquisite.
Il salto di qualità di cui parlo è proprio questo. Qualcosa che ci mette di fronte ad una nuova condizione fisico-psichica nuova che ci fa immediatamente rendere conto delle nuove funzionalità che abbiamo acquisito e ci mette nella giusta condizione per poterle allenare fino a che non diventano perfettamente naturali.
La cosa bizzarra di tutto ciò è che non c’è un momento in cui questo avviene. Succede tutto per caso ad un certo punto. Questo mi fa ridere (ma solo perché quando me lo dicevano non ci credevo).

martedì 23 aprile 2013

il modo giusto

Lungo periodo di stop nella pubblicazione. La scorsa settimana ho saltato quello che è diventato per me il giorno di pubblicazione per preferirne uno diverso a causa di un pensiero che avevo desiderio di condividere senza poter aspettare il canonico martedì.
Oggi riprendo la “regolare pubblicazione” cercando di riflettere sul fatto che per quanto un’azione venga considerata complessa, difficile, impossibile o come di solito siamo abituati a definire qualcosa che non si riesce a fare, ci sarà sempre qualcuno che la farà con una semplicità disarmante.
Fino ad ora ho capito che se si vuole imparare a fare qualcosa semplicemente bisogna allenarsi fino al punto che diventa automatica. Il problema che si pone subito in quel momento è che bisogna allenare nel modo corretto, se no diventa automatico qualcosa di sbagliato. Come fare per evitare questo?
Non ho una risposta a questa domanda, ma un’altra domanda. Vi siete mai accorti da una sensazione che avete appena fatto qualcosa di giusto? Mi spiego: avete mai provato quella sensazione che di solito è immediatamente successiva al compimento di un’azione corretta che molti definiscono come la lampadina che si accende? Il famoso eureka?
Può essere questa la vera prova del nove, l’unico modo per rendersi conto se un’azione fatta è giusta? Il tutto ovviamente è da vedere in una situazione “normale” (sempre che alla parola “normale” si possa dare un significato universalmente riconducibile a qualcosa) perché immagino che Hitler abbia provato la medesima sensazione nel momento in cui ha avuto l’idea dei campi di concentramento…
In sostanza, oggi, vorrei soffermarmi a riflettere non tanto sulla modalità che permette di arrivare alla lampadina che si accende, quanto su quell’attimo in cui ci si rende conto. La consapevolezza è quello che rende le persone forti e rilassate. Si cresce più velocemente se si conoscono i propri limiti, perché si riesce ad intervenire più rapidamente ed intelligentemente su di essi.
Posso considerare questa consapevolezza il punto di partenza per l’allenamento delle mie potenzialità? Posso, quindi, considerare questo punto di partenza il modo corretto di allenarmi?
raccontacelo@gmail.com

giovedì 11 aprile 2013

imparare

E’ facendo che una persona si rende conto della competenza acquisita in un’attività, o almeno dovrebbe.
Sono rimasto abbastanza perplesso nello scoprire che molte persone sono convinte di fare, quando invece non fanno altro che copiare qualcosa che, se fatto davvero, è completamente diverso. Un detto dice che conosci davvero bene una cosa quando la sai spiegare a tua nonna e, da un certo punto di vista, sono d’accordo.
Sto pensando a quanta fatica ci vuole per acquisire una competenza che sia una reale competenza e non un essere in grado di imitare. La differenza tra il fare ed il fare davvero esiste, ma molte persone non la vedono.
Ciò che si prova quando si sta di fronte a qualcuno che dimostra davvero come si fa bene una cosa è una sensazione simile alla frustrazione che fa pensare a idee del tipo: non ce la farò mai, è troppo difficile e via discorrendo, ma in seconda battuta dà il paradigma da seguire che dovrebbe spingere sulla strada corretta.
Sono d’accordo con l’idea di un amico che inserisce la parola “maestro” soltanto tra le definizioni da dizionario. Quello che esiste davvero è la capacità di imparare e di fare propria l’esperienza personale che una persona riconosciuta come maestro mette a disposizione di chi ha questa dote da mettere in gioco. Sono d’accordo con questa definizione perché diversamente da quanto succede, gli allievi di un maestro non sono tutti allo stesso livello, ma qualcuno diventa bravo, qualcuno no e qualcuno forse anche più bravo di lui. (Questo vuole essere un discorso generale, ovvio è che il maestro sa dare le indicazioni corrette, quando è il momento).
Dico questo perché penso sia successo ad ognuno di noi di essere convinto di fare bene fino al momento in cui qualcuno, magari con un piccolo sorriso sulle labbra, ci dice: prova a fare così svelandoci un modo più rapido, veloce e semplice.
Questo, inizialmente, mi rendeva nervoso. Lo ammetto. Ora mi rende più attento. Ma qual è il prezzo per questa attenzione in più? Che tutte le volte è come se si ricominciasse da capo per riprendere qualcosa che va sempre modificato? Che non si finirà mai un discorso perché ci sarà sempre qualcosa da rivedere?
Lascio ragionare.

martedì 9 aprile 2013

ascolto

Oggi nessuna considerazione, sento solo il desiderio di condividere con tutti una canzone che è la colonna sonora della mia settimana.
Ne pubblico una versione che prevede il testo e la sua traduzione per renderla accessibile a chiunque avesse pochi minuti di tempo da investire.
Non chiedo nulla di particolare, soltanto di ascoltare con attenzione e lasciare un appunto se credete.

martedì 2 aprile 2013

un dono

Pasqua è un bel momento dell’anno. Al di là del significato che può avere per i credenti penso sia un bel momento da passare in compagnia. E’ in una stagione in cui, se il tempo non fa le bizze, si sta bene all’aperto, esce il primo sole caldo e porta quel week-end lungo che ai lavoratori dipendenti non dispiace mai. Non so come dire, ma fa molto “famiglia”.
In quanto festa, però, anche Pasqua è un momento in cui ci si scambia dei regali, dei pensieri, dei doni. Volevo fermarmi un attimo a pensare al regalo. Volevo partire da una definizione che mi desse almeno una linea guida. Ho cercato su wikipedia e ho trovato con piacere una definizione che condivido.
“il termine "dono" si può riferire a qualunque cosa fatta liberamente e spontaneamente, atta a rendere l'altro più felice o meno triste, come ad esempio un favore, un atto di perdono o una gentilezza.”

Sto cercando di capire cos’è per me un dono, ma faccio fatica.

domenica 31 marzo 2013

auguri

Due righe per augurare una Buona Pasqua a tutti quelli che leggono, che scrivono e che in qualche modo ci sono vicini.
Buona Pasqua a tutti!

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mercoledì 20 marzo 2013

impotenza

Un'altra situazione particolare che mi trovo a vivere, come praticamente tutti noi, é quella in cui un amico o una persona cara sta vivendo una difficoltà e ci si rende conto che non si può fare niente. Se stiamo vicino siamo tra i piedi e se siamo lontani ci pare di essere menefreghisti, ma sappiamo che non possiamo nulla e che la situazione deve seguire il proprio percorso.
Abbiamo provato tutti questa sensazione (anche più volte) e, come al solito mi chiedo: perché? Domanda che sembrerà scontata (uso il verbo sembra facendo tesoro del consiglio di Carola relativo al "banale" dell'ultimo articolo) ai più ma che a me fa pensare. Ovviamente la situazione può essere anche opposta e possiamo essere noi a trovarci nella situazione in cui nessuno ci può aiutare anche se noi lo vorremmo. Quello che mi chiedo é sempre rivolto ad aggiungere un tassello alla mia personale ricerca della felicità. É utopico voler fare tutto sempre nel modo giusto, ma credo sia possibile voler fare tutto nel modo migliore. Non é immediato e non é semplice, ma credo si possa. Essere in grado di risolverci un problema, di trovare sempre chi possa aiutarci e poter fare altrettanto per una persona che ci é cara credo sia un importante traguardo verso la felicità. Ma come, se é possibile.

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martedì 12 marzo 2013

punto di non ritorno

Mi sono accorto di un'altra situazione quantomeno "strana". In qualsiasi attività si arriva sempre ad un punto nel quale c'è un momento in cui si odia quello che si sta facendo fino a non poterlo più sopportare. Prendo in prestito una situazione di tutti i giorni.
Abbiamo appena cambiato lavoro perché quello che avevamo non ci dava soddisfazioni. All'inizio il nuovo lavoro é il più bello in assoluto fino a quando, pian piano, diventa un lavoro come gli altri per poi divenire una (o l'unica) delle motivazioni per cui si sta male e non si riesce ad andare avanti. Si arriva a dire che sia stava meglio quando si stava peggio o si finisce proprio per abbandonare tutto preferendo altre vie. Chiedendo perdono per il banale esempio mi permetto di rincarare la dose dicendo che questo succede con tutto. Posso affermare con certezza che la maggior parte di noi si é trovato in una situazione simile e questo mi fa pensare a quali meccanismi possono entrare in funzione portandoci a scegliere con forza e decisione una qualsiasi idea per poi rigettarla perché, ad un certo imprecisato punto, viene fuori il problema.
Senza essere riuscito ovviamente a dare risposta e senza la presunzione di poterla dare mi chiedo semplicemente: é buono che avvenga ciò?

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mercoledì 6 marzo 2013

rapida riflessione

Alle volte quello che mi fa pensare è che basta così poco per cambiare o far cambiare una situazione o una sensazione. Penso in particolare al mio momento di vita attuale nel quale passo velocemente da una parte all’altra senza una vera via di mezzo. Si passa facilmente da una sensazione di estrema felicità ad un’altra di estrema tristezza con una velocità impressionante.
Basta una parola per rendere una giornata esattamente il suo opposto, ma alle volte basta anche meno. Basta uno sguardo, ma anche un sms o qualsiasi cosa permetta di percepire una sensazione. Alle volte faccio proprio fatica a spiegarmi come sia possibile che si possa cambiare lo stato d’animo con così poco e più volte durante la giornata.
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martedì 26 febbraio 2013

Sensazione

Non riesco a dare un nome a quella sensazione che si prova quando ci si sente fuori da sé. È quella sensazione che ti fa sentire come l’unica persona ad avere un problema, che ti spinge a cercare il confronto diretto ed una parola buona. Quella sensazione che comunque, per quanto bene ricevi da chi hai intorno, non passa. È quella sensazione che si posa nello stomaco e per il peso che ha fa corrucciare fin lo sguardo.  Non conosco il nome di questa “cosa” che ci permette di pensare soltanto in grigio e che si sente forte ad ogni respiro. So, però, che è molto particolare perché poi, ad un certo punto, passa così come è venuta e non ci si spiega. C’è chi la chiama ansia, chi paura, chi stress, ma nessuna di queste definizioni mi soddisfa appieno.
Io la chiamo malessere, ma la genericità della definizione non rende giustizia alla capacità che ha questo stato di essere così presente.
In questa personale analisi sto cercando delle risposte, ma alle volte mancano le basi anche solo per farmi le giuste domande. Quando mi trovo di fronte a situazioni di questo genere non nascondo la preoccupazione. Quello che mi preoccupa e spaventa è che esistono sensazioni che hanno la capacità di stare con la stessa intensità per il tutto il tempo. E’ questo stare che è devastante. È come la goccia che pian piano fa il buco. Se il paradosso del mentitore è vero chi mi dice che non ne esistano altre di sensazioni simili?
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martedì 19 febbraio 2013

Pagina degli ospiti

Oggi nasce la pagina degli ospiti! Vi invito a guardarla e a produrre dei pensieri per riempirla!!!

mercoledì 13 febbraio 2013

osservazione

Che dire, oggi mi trovo a vivere un momento strano della mia vita. Mi trovo ad essere combattuto tra quello che devo fare e quello che mi dicono di fare. La cosa brutta è che non si tratta delle stesse cose e, anzi, molte sono discordanti. La cosa forse ancora più brutta è che devo farle indipendentemente da questo.
E’ un periodo in cui nonostante io viva giorno per giorno (o forse proprio per questo) riesco a passare da uno stato di estrema felicità ad un altro di estrema angoscia. Mi cambia la vita così da un momento all’altro senza apparentemente nessun motivo valido. Riesco poi a complicare il tutto vivendo male la felicità e bene l’angoscia. Mi trovo anche a dover far vedere che sono felice quando non lo sono e viceversa.
Sono tutte situazioni “normali” che fanno parte della vita di tutti i giorni, ma finora le avevo vissute soltanto singolarmente. Ora che sono lì tutte insieme ho bisogno di fermarmi ed osservarle, di analizzarle senza che scorrano così senza lasciare traccia (in fondo quello che sto vivendo mi caratterizzerà nel futuro e non posso permettermi di lasciarlo andare senza almeno darci un’occhiata). E allora succede che mi trovo spettatore della mia vita, spettatore attento. Così imparo.

mercoledì 6 febbraio 2013

Idea

Anche oggi soltanto uno spunto, nulla di che, un'idea su cui riflettere.

"Goditi potere e bellezza della gioventù, non ci pensare: il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite ma credimi, tra 20 anni guarderai quelle tue vecchie foto in un modo che non puoi immaginare adesso; quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi. Non eri per niente grasso come ti sembrava. Non preoccuparti del futuro, oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica. I veri problemi della vita sono quelli che non ti erano neanche passati per la mente, di quelli che ti colgono di sorpresa, alle 4 di un pigro martedì pomeriggio. Fa una cosa ogni giorno che sei spaventato: canta! Non essere crudele con il cuore degli altri, non tollerare la gente che è crudele col tuo. Lavati i denti. Non perdere tempo con l'invidia, a volte sei in testa, a volte resti indietro; la corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso. Ricordati i complimenti che ricevi, scordati gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa. Conserva tutte le vecchie lettere d'amore, butta i vecchi estratti conto. Rilassati. Non sentirti in colpa se non sai cosa fare della tua vita: le persone più interessanti che conosco a 22 anni non sapevano che fare della loro vita, i quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno. Prendi molto calcio. Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno. Forse ti sposerai o forse no, forse avrai figli o forse no; forse divorzierai a 40 anni, forse ballerai con lei al cinquantacinquesimo anniversario di matrimonio; comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche. Le tue scelte sono scommesse, come quelle di chiunque altro. Goditi il tuo corpo, usalo in tutti i modi che puoi, senza paura e senza temere quello che pensa la gente! E' il più grande strumento che potrai mai avere. Balla, anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno. Leggi le istruzioni anche se poi non le seguirai. Non leggere le riviste di bellezza, ti faranno solo sentire orrendo. Cerca di conoscere i tuoi genitori, non puoi sapere quando se ne andranno per sempre. Tratta bene i tuoi fratelli, sono il miglior legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro. Renditi conto che gli amici vanno e vengono, ma alcuni - i più preziosi - rimarranno. Datti da fare per colmare le distanze geografiche e di stili di vita, perchè più diventi vecchio, più avrai bisogno delle persone che conoscevi da giovane. Non fare pasticci con i tuoi capelli, se no quando avrai 40 anni sembreranno di un ottantacinquenne. Sii cauto nell'accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia: dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quello che vale. Ma accetta il consiglio, per questa volta".

dal film The Big Kahuna
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mercoledì 30 gennaio 2013

Talento

Mi stavo chiedendo quanto possa valere il talento. Il riferimento sono i 23.000.000€ che sono stati spesi per Mario Balotelli e i 4.000.000 che guadagnerà.
Mi guardo bene dal criticare questa situazione, ma tutto questo mi fa pensare.
Oggi Balotelli firmerà il contratto milionario che lo legherà al Milan fino al 2017, ma poco più di un mese fa (era il 18 di Dicembre) un altro evento mi aveva colpito: faccio riferimento al soldato americano 26enne che è stato sottoposto ad un delicatissimo intervento chirurgico di doppio trapianto di braccia.
La storia in breve  è quella del soldato Brendan Marocco che, durante la guerra in Iraq nel 2009 aveva perso tutti e quattro gli arti salvando miracolosamente la propria vita dopo l’esplosione di bombe nemiche che hanno fatto saltare in aria il furgone che stava guidando.
Quello che sto facendo è mettere in relazione Balotelli all’equipe di medici che ha compiuto l’operazione pur vedendo che l’accostamento stride perché la situazione è contestualmente differente, ma a me, come al solito, interessa il principio. Ricordiamoci che stiamo parlando di talento.
La domanda è: esiste una differenza di talento tra un bravo calciatore ed un bravo medico? (chirurgo in questo caso), se esiste dove sta? Ancora più banalmente mi chiedo, se un calciatore riesce a guadagnare milioni di euro per un talento (che peraltro io non ho!), quanto dovrebbe riuscire a guadagnare quel medico che è in grado di compiere intervinti di tale natura?
Il talento, ovviamente secondo me, è indiscusso per entrambi, ma il valore morale che accompagna questo essere talentuoso non dovrebbe servire a qualcosa?
Stiamo vivendo un periodo di crisi che “dovrebbe” aprire gli sguardi di tutti a ricercare ciò che realmente è utile. Comprare un paio di scarpe, oggi, non è comprarne uno in più, ma comprarne uno perché serve. Mi capita spesso di fermarmi a ragionare su avvenimenti e fatti di questo tipo, ma con il solo gusto di trovare uno spunto interessante per tenere allenata la mente. Ognuno di noi vive le proprie priorità secondo le proprie esigenze. Ma spesse volte mi chiedo quanto siamo condizionati anche nella scelta di quella che crediamo essere una priorità.
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giovedì 24 gennaio 2013

Metodo

Nessuno spunto personale di riflessione, soltanto un estratto dal sito di uno dei più importanti praticanti di Wing-Chun in attività.
Una dedica a chi legge da parte mia scritta di suo pugno, un mio ringraziamento a lui per la passione che ci mette e che trasmette nell’insegnamento.
Per me è iniziato tutto nel Novembre del 2009 ed è una delle cose che mi hanno portato oggi ad essere ciò che sono.
Le parole di Franco:
“Wing Chun, che letteralmente significa “eterna primavera”, è uno dei sistemi di Kung Fu derivati da Shaolin. Si dice che fosse il nome di una donna, Wing Chun Yim, la quale ne apprese le basi dalla monaca Shaolin Ng Mui. Una teoria recente accredita il nome Wing Chun ad una sala esistente all’interno del monastero di Shaolin. Nonostante queste leggende, non verificabili, nella nostra scuola preferiamo interpretare “eterna primavera” come uno stato mentale: avere la mente eternamente giovane in modo da continuare ad imparare come fa un bimbo di 5 anni. Il Wing Chun è un’arte marziale estremamente sofisticata, efficiente e completa. Studia il combattimento a mani nude e grazie ad una pratica costante permette di raggiungere un altissimo grado di condizionamento sia corporeo sia strategico. E’ un metodo scientifico ed in quanto tale va praticato più con gli occhi dello scienziato che del combattente. Il Wing Chun è un sistema di contrattacco (quindi nè attacco nè difesa) che può essere applicato come risposta a qualsiasi assalto fisico. Questa arte non è solo una forma di combattimento a mani nude, ma insegna a comprendere profondamente la meccanica del corpo umano. La sua pratica porta vantaggi sia mentali che fisici anche nella vita di tutti i giorni. Si ottengono infatti una migliore struttura del corpo, un maggior benessere, un senso di consapevolezza acuto, più precisione e maggior controllo delle azioni. Per quanto riguarda il combattimento il Wing Chun insegna l’economia di movimento grazie alla quale si ottiene la massima efficacia. Attraverso un corretto allenamento, che serve a riprogrammare il nostro istinto, il Wing Chun condiziona ad attaccare l’attacco sfruttando il concetto di linea centrale. Inoltre lavora molto sullo sviluppo della sensibilità intesa come capacità di sentire ed adeguarsi all’energia dell’avversario. Il suo principio fondamentale è: “assorbire ciò che arriva, seguire ciò che si allontana e colpire quando c’è il vuoto.” Il Wing Chun fu insegnato pubblicamente solo all’inizio del nostro secolo: prima di allora questo sistema era gelosamente tramandato a pochi allievi scelti e non se ne conosceva l’esistenza. Esso si compone di 3 forme a mano nuda (Siu Lim Tao – Chum Kiu – Biu Jee), una con il manichino di legno (Mok Yan Jong), una con il bastone lungo (Lok Dim Boon Kwun) ed una con i coltelli a farfalla (Bat Cham Dao). La maggior parte del lavoro si svolge in coppia grazie a diversi esercizi, il più famoso dei quali è il Chi Sao (letteralmente “mani appiccicose”). Il Chi Sao non è combattimento, ma costituisce la base per sviluppare una corretta reazione del corpo in base agli stimoli che riceve dal compagno. È importante chiarire che il Wing Chun non è soltanto un sistema di lotta. Se si sta cercando esclusivamente un sistema di auto difesa è più efficace imparare ad utilizzare una pistola. Durante gli ultimi trenta anni, gli aspetti “da combattimento” del Wing Chun sono stati più e più volte enfatizzati, ma ci sono molti altri benefici che si ottengono grazie a questa arte ed è bene non tralasciarli. La sua pratica aiuta ad eliminare i dolori muscolari ed essendo nel contempo un intenso allenamento cardiovascolare, permette di restare in forma e sviluppa resistenza alla fatica, coordinazione, equilibrio, consapevolezza e autocontrollo. L’allenamento, che richiede tempo e autodisciplina, insegna come reagire, senza far distinzione se quello che affrontiamo è una situazione di combattimento o un episodio della vita di tutti i giorni. Il praticante impara a comportarsi con intelligenza e non con rabbia o guidato dall’orgoglio e ad affrontare paura e stress. Insegnando al corpo a reagire agli stimoli in un modo controllato, il Wing Chun si concentra sull’immediatezza, sulla semplicità e sull’economia del movimento. “L’arte di essere pigri” come dice sempre il sifu Nino Bernardo. Il Wing Chun insegna al praticante qualcosa di se stesso, spiega la meccanica del corpo e come mantenere semplicità e efficacia. Inoltre sviluppa una comprensione delle reazioni emotive, insegnando a mantenere il controllo nonostante la rabbia o l’orgoglio. Contribuisce a promuovere il meglio di se stessi ed insegna come eliminare gli aspetti negativi. Il Wing Chun è un sistema che coinvolge interamente corpo + mente e sviluppa la persona nella sua totalità essendo al contempo (ma non solo!) una forma altamente efficace ed immediata di autodifesa.”

venerdì 18 gennaio 2013

Stop

Mi trovo in un momento particolare di vita che mi impedisce di essere lucido su molte cose. È anche un periodo che cozza e non poco con la mia ricerca della felicità. Questo mi mette in seria difficoltà su molti aspetti che sto cercando di indagare.
Ho iniziato tutto questo perché sento fortissima la necessità e l’importanza di vivere felicemente. È davvero incredibile quanto complessa sia la mente umana alla quale basta un semplice cambiamento di stato (in positivo o negativo ovviamente) per condizionare tutto quello che segue negli anni.
Se prendo il momento di vita nel quale mi trovo non posso dire altro se non che sono felice, ma non mi spiego perché c’è sempre un fondo di infelicità. È perché deve esserne una parte indissolubile? È la seconda faccia di qualsiasi moneta?
Si può essere davvero felici al 100% o bisogna abituarsi a vivere anche l’infelicità che viene dai momenti felici? Ancora, dobbiamo essere felici di quell’infelicità perché porta a consapevolezza, carattere o genera addirittura altra felicità?
Di certo un discorso di questo genere non fa altro che farmi entrare in un vortice dal quale diventa impossibile uscire, ma lo condivido perché, magari, qualcuno può aiutarmi a vedere un altro punto di vista.
raccontacelo@gmail.com

giovedì 10 gennaio 2013

Quando il bicchiere è mezzo pieno

Sono passati dieci giorni del nuovo anno e un pensiero mi accompagna.
Voglio presentare un’idea dal film di Fabio Volo “Casomai”  del 2002.
Non è una citazione vera e propria perché non ricordo con esattezza le parole, ma ho ben impresso il concetto che voglio esprimere.
Parto da Adamo ed Eva dicendo che credo sia fondamentale il lavoro perché, senza ombra di dubbio, è quello che ci permette di sopravvivere, ma credo che sia altrettanto importante essere felici perché è quello che permette di vivere.
Per un ragionamento molto superficiale direi che il concetto che voglio esprimere con queste parole, preso per i suoi sommi capi, sarebbe: ti fa stare bene? Fallo! Tra queste due parole, in realtà, ci sono un sacco di variabili che non rendono per nulla facile questo ragionamento.
Il problema è che credo fermamente in questo semplice concetto e non riesco ad abbandonarlo solo perché ci sono uno, dieci, mille imprevisti di mezzo.
Se penso di dover passare tutta la vita a chiedermi come sarebbe se facessi qualcosa di meraviglioso, mentre in realtà faccio tutt’altro senza trarne nessuna gioia, sono convinto che mollerei in questo istante qualsiasi azione perché non avrebbe assolutamente senso. Se penso , però, al fatto che in questo momento sto soffrendo, faticando o qualsiasi altra sensazione “negativa” perché sto muovendo un passo verso la mia felicità, diciamo che riesco a vedere meglio una situazione complessa.
Pensare alla fatica che comporta imparare a suonare uno strumento musicale quando la musica non mi interessa è terribile, ma fare tutta quella fatica perché domani, con quelle capacità, potrei fare parte attivamente del mondo..beh, è un’altra cosa.
Il principio è di una semplicità disarmante, ma è molto lontano dalla facilità e richiede allenamento.
Ma il film? Lo riassumerei con le parole della nonna che con molta semplicità fa notare ai due protagonisti presi dalle difficoltà “normali” della vita che la vita stessa è sacrificio, ma che, nonostante tutto, quando lei era piccola e non c’era tutto ciò che abbiamo oggi, le difficoltà si affrontavano. Di fame non è mai morto nessuno!
Dobbiamo fare quello che ci rende felici. Le difficoltà ci sono, ma si superano perché l’obiettivo vale tutti gli sforzi. Se c’è da tirare la cinghia non stiamo facendo un miracolo! Stiamo vivendo. Dal vivere al morire di fame ne passa.

venerdì 4 gennaio 2013

Festa del 6 Gennaio

Credo che il 6 Gennaio possa essere considerata già la prima verifica dell’anno appena iniziato.
Il carbone o i doni che si ricevono nella notte tra il 5 ed il 6 non individuano le persone buone o cattive, ma sono proprio i mezzi che vengono messi a disposizione.
Svegliarsi e trovare una calza colma di caramelle è piacevole, pensare che dovranno bastare fino alla fine dell’anno forse un po’ meno.
Tutto ciò che si ha ad ogni inizio di ciclo è sempre poco e obbliga al confronto con la realtà costringendo a sviluppare tutto ciò che servirà per crescere ed andare avanti.
Può essere la notte tra i 5 ed il 6 di Gennaio un nuovo capodanno? Mi intriga vederlo come il capodanno più consapevole, quello che, passati i festeggiamenti, mette a confronto con le nostre personali risorse da conoscere, spendere, risparmiare e far crescere durante l’anno.
Una percezione di questo tipo mi fa pensare e mi fa ragionare fin da subito in un’ottica diversa che non vuol essere diretta ad uccidere ogni sorta di positivismo, ma a creare una reale felicità consapevole di quanto effettivamente si ha a disposizione. È molto più semplice e naturale essere felici se si è consapevoli che andare a cercare un barlume di felicità in qualcosa che forse potrebbe accadere.
Come i bambini sono felici di quello che hanno al momento, così anche io cercherò di vivere “diversamente” la mia esistenza; cercherò di abituarmi a vedere che molte cose belle succedono durante tutte le giornate che, per quanto brutte, hanno avuto per forza dei momenti positivi. Bisogna solo essere capaci di rintracciarli e di goderne appieno. Se ci si abitua ad un’analisi di questo tipo ci si abitua anche a creare un automatismo che porta immediatamente senza neanche pensarci a ricordare solo ciò che di bello succede, permettendo un’esistenza piena e soddisfacente.
È questo che mi pongo come obiettivo. Ma non solo per quest’anno.