domenica 11 ottobre 2015

questione di equilibri

Stavo pensando che molti parlano di equilibri nelle relazioni e pensavo anche a quanto è difficile mantenerli.

Non voglio parlare di relazioni sentimentali perché quelle fanno parte di un capitolo a sé, ma delle normali relazioni che regolano i rapporti umani.

Dal primo momento che incontriamo una persona non facciamo altro che cercare di entrare in relazione con lei e cerchiamo di capire da quale parte poterla approcciare e come fare per fare una buona impressione in modo che questa si sciolga e lasci andare i freni che la diffidenza porta naturalmente a tirare.

Quello che mi chiedo è: quanto c'è di normale in questa situazione? Per conoscersi bisogna prima di tutto studiarsi come pugili su un ring.
Passiamo momenti a capire chi abbiamo di fronte ed, allo stesso tempo, cerchiamo di fornire la nostra parte migliore per fare a nostra volta una buona impressione.

Quando arriviamo al contatto abbiamo già studiato l'intensità della stretta di mano per non sembrare né troppo forti, ma neanche troppo deboli!

Sfoggiamo il nostro sorriso migliore ed immediatamente parte il confronto.

Da qui inizia la fase nella quale cerchiamo di capire in quale cerchia di conoscenze possiamo inserire la persona che abbiamo di fronte per individuare il canale che utilizzeremo per rapportarci. Cercheremo di capire se mantenere il "lei", se indosseremo sempre una cravatta quando l'avremo di fronte o se basta una T-shirt, quali argomenti ed idee condividere ed, addirittura, se dovremo far finta che le sue idee siano anche le nostre.

Individuato il genere di rapporto dovremo capire se mantenerlo statico, farlo crescere ed evolvere o puntare alla chiusura e dovremo essere pronti a riconoscere cosa l'altro vuole a sua volta fare! Già questa situazione non è delle più semplici in più se uno dei due vuole approfondire e l'altro chiudere diventa tutto ancora più complicato!

Data la direzione dovremo essere pronti a valutare gli errori, a dare e chiedere spiegazioni, a versare lacrime e fare risate, a litigare e fare pace, a prendersi e lasciarsi, insomma..dove sta l'equilibrio che lottiamo per trovare in una relazione?

A me sembra che tutto questo sia solo un continuo sbattere da una parte all'altra, più che un cercare un equilibrio.

Che fare?

raccontacelo@gmail.com

martedì 22 settembre 2015

da quanto ci penso

Sono mesi che sto pensando al post da scrivere. L'ho iniziato mille volte e l'ho interrotto altrettante.
Quello su cui mi sono arenato spesso è il discorso della cosa giusta da fare. Sto pensando da tanto tempo al fatto che se chiedo a diverse persone il parere su qualcosa ricevo idee differenti. Cosa può voler dire? Che alle volte le cose giuste da fare sono più di una? Cerco di spiegarmi. Su come si piega una maglietta possiamo essere d'accordo che ci possono essere dversi modi, ma su argomenti un po' più impegnativi come possono esserci diverse opinioni tutte corrette? In fondo un'azione è giusta quando ci fa raggiungere l'obiettivo.
Lancio come al solito il mio sasso e dico che la cosa giusta da fare è sempre e soltanto una. Alla domanda quanto fa due più due non ci sono tante risposte, ma soltanto una.
La dimostrazione a questa cosa sta nel fatto che se voglio imparare a nuotate devo mettermi in acqua, poi posso farmi raccontare esperienze, studiare la fisica che ci sta dietro, ma finché non mi metto in acqua non imparo nulla.
Pensavo anche a chi risolve i problemi della vita degli altri utilizzando teorie psicologiche una piuttosto che un'altra quando alla fine il criterio è uno: il buon senso che, per quanto è soggettivo rimane analizzabile.
La difficoltà dell'elaborare questo post è stata e sta ancora adesso nell'esprimere l'unicità del concetto di correttezza.
Ma il dubbio rimane. Se la risposta giusta è una sola, perché viviamo nel dubbio?

raccontacelo@gmail.com

domenica 19 aprile 2015

questione di principio

Stavo pensando in questi giorni a tutte quelle volte che ho sentito litigare persone a causa del principio.
Mi spiego meglio. Tutti quelli di cui sto parlando sono quelli che millantano una ragione nei confronti di qualcuno adducendo come motivazione il principio.
Mi spiego ancora meglio. Tutti quelli che dicono che hanno ragione per questione di principio.

Ora. Si può sapere qual è questo principio? Si parla di principio come se ce ne fosse unico valido per tutti. E sapete qual è la cosa bella? Provate a chiedere a qualcuno di quelli che ha appena riattaccato il telefono in faccia alla fidanzata o è uscito di casa sbattendo la porta. Non vi sa rispondere.

Questa cosa mi fa impazzire. La maggior parte delle volte la spiegazione finisce in "è una questione di principio". Quindi se fai un'azione che mi infastidisce io ne devo fare un'altra che ti infastidisce almeno allo stesso modo".

Chi mi legge da tempo ha ormai capito che io tendo a stravolgere un po' il modo di ragionare per creare nuovo pensiero.

Lancio allora una sfida. Proviamo a fare pace per principio?

Intanto abbiamo indagato che non esiste un principio uguale per tutto e tutti, che nessuno lo sa spiegare e che il termine viene usato in maniera puramente casuale.

Cosa potrà mai succedere su tentiamo di fare pace per principio? Che se una persona fa nei miei confronti una buona azione io ne dovrò fare verso di lui/lei una altrettanto buona? Potrà succedere che mi chiederanno il perché ho agito così e dirò "per principio"? Mi chiederanno di spiegare quello che mi ha spinto ad agire così e non saprò rispondere?

Sì, è vero. NON CAMBIA NIENTE.

Anzi, cambia solo lo 0,1%.

Il punto di vista.

raccontacelo@gmail.com

domenica 22 marzo 2015

domenica 8 marzo 2015

malessere

Eccomi di nuovo dopo un periodo abbastanza lungo.
Sono a scrivere però di un malessere che mi accompagna da quasi 20 anni ormai.
E' una cosa che mi fa stare male e parecchio. Nulla di grave per fortuna, ma comunque qualcosa che riesce a darmi molto fastidio.

Cercare una cura da così tanto tempo ed essere convinto di averla trovata.

Rimanere un po' senza questo malessere ed essere convinto di averlo sconfitto.

Tutte cose già provate e anche già passate.
Non voglio riflettere su nulla oggi perché non ne sono in condizione.

Oggi scrivo soltanto perché ho fatto una promessa a qualcuno che mi legge sempre che avrei scritto soltanto per le persone come lei e voglio che sappia che ci sono.
Ma non mi sento di ragionare su qualcosa.

E' come se stessi abbandonando il mio progetto di ricerca della felicità.

Mi sto forse lasciando andare?

E' anche difficile proseguire quando non stai bene. Quando vorresti, ma non ne hai la forza.

Ora vado a letto.

Basta.

raccontacelo@gmail.com

domenica 8 febbraio 2015

problema

Stavo pensando ultimamente che sto sentendo troppe volte persone che utilizzano la parola problema a sproposito.
Cerco di spiegarmi meglio.

Io parto dal presupposto che la parola problema non esiste. Sono abbastanza convinto di questa cosa perché, in fondo, un problema non è altro che un qualcosa di più difficile da fare.
E questo è un discorso generale.

Ci nascondiamo dietro alla parola problema che in realtà non vuol dire niente per come viene utilizzata. Problema può essere quello di geometria, ma non quello che sento raccontare in giro da molte persone.

Se pensiamo cambiando il punto di vista scopriamo che possiamo cancellare la parola problema identificandolo come una situazione difficile, non immediatamente risolvibile, composta per intero da piccole situazioni immediatamente risolvibili su cui concentrarsi.

Alla volte si identifica come problema qualcosa che diventa grande col tempo, ma che prima non lo era. Il classico problema di cui le persone parlano è un accumulo di piccole situazioni che sono cresciute e che sono arrivate ad un punto in cui non possono essere più rimandate.

A quel punto lo so anche io che facciamo fatica!

Posso fare una domanda provocatoria a titolo puramente esemplificativo?

Se fondiamo il motore della macchina abbiamo un grosso problema.
Se ci avessimo controllato l'olio quando era il momento lo avremmo avuto?

raccontacelo@gmail.com

giovedì 15 gennaio 2015

volatilità

Stavo pensando che una buona parte di quello che faccio nell'arco di una giornata è comandato dalla volatilità che rende ciò che ho in programma un'incognita fino a quando non sono riuscito a portarla a termine.
Cioè, sono io che vedo male o è proprio così? È pressoché inutile programmare una giornata che nel novanta per cento dei casi andrà diversamente da quanto avevi deciso di fare.
Quindi mi chiedo che senso ha il programmare le cose così come ci dice la nostra società. Che senso ha programmare qualcosa quando so che con buona probabilità succederà un evento che mi costringerà a cambiare buona parte dei miei programmi che magari dovranno ancora essere cambiati?
Quello che mi lascia un po' perplesso è che pare che senza organizzarci non possiamo fare niente.
Il problema è che non siamo organizzati neanche quando lo siamo. Forse.

raccontacelo@gmail.com