Eccomi di nuovo dopo un periodo abbastanza lungo.
Sono a scrivere però di un malessere che mi accompagna da quasi 20 anni ormai.
E' una cosa che mi fa stare male e parecchio. Nulla di grave per fortuna, ma comunque qualcosa che riesce a darmi molto fastidio.
Cercare una cura da così tanto tempo ed essere convinto di averla trovata.
Rimanere un po' senza questo malessere ed essere convinto di averlo sconfitto.
Tutte cose già provate e anche già passate.
Non voglio riflettere su nulla oggi perché non ne sono in condizione.
Oggi scrivo soltanto perché ho fatto una promessa a qualcuno che mi legge sempre che avrei scritto soltanto per le persone come lei e voglio che sappia che ci sono.
Ma non mi sento di ragionare su qualcosa.
E' come se stessi abbandonando il mio progetto di ricerca della felicità.
Mi sto forse lasciando andare?
E' anche difficile proseguire quando non stai bene. Quando vorresti, ma non ne hai la forza.
Ora vado a letto.
Basta.
raccontacelo@gmail.com
domenica 8 marzo 2015
domenica 8 febbraio 2015
problema
Stavo pensando ultimamente che sto sentendo troppe volte persone che utilizzano la parola problema a sproposito.
Cerco di spiegarmi meglio.
Io parto dal presupposto che la parola problema non esiste. Sono abbastanza convinto di questa cosa perché, in fondo, un problema non è altro che un qualcosa di più difficile da fare.
E questo è un discorso generale.
Ci nascondiamo dietro alla parola problema che in realtà non vuol dire niente per come viene utilizzata. Problema può essere quello di geometria, ma non quello che sento raccontare in giro da molte persone.
Se pensiamo cambiando il punto di vista scopriamo che possiamo cancellare la parola problema identificandolo come una situazione difficile, non immediatamente risolvibile, composta per intero da piccole situazioni immediatamente risolvibili su cui concentrarsi.
Alla volte si identifica come problema qualcosa che diventa grande col tempo, ma che prima non lo era. Il classico problema di cui le persone parlano è un accumulo di piccole situazioni che sono cresciute e che sono arrivate ad un punto in cui non possono essere più rimandate.
A quel punto lo so anche io che facciamo fatica!
Posso fare una domanda provocatoria a titolo puramente esemplificativo?
Se fondiamo il motore della macchina abbiamo un grosso problema.
Se ci avessimo controllato l'olio quando era il momento lo avremmo avuto?
raccontacelo@gmail.com
Cerco di spiegarmi meglio.
Io parto dal presupposto che la parola problema non esiste. Sono abbastanza convinto di questa cosa perché, in fondo, un problema non è altro che un qualcosa di più difficile da fare.
E questo è un discorso generale.
Ci nascondiamo dietro alla parola problema che in realtà non vuol dire niente per come viene utilizzata. Problema può essere quello di geometria, ma non quello che sento raccontare in giro da molte persone.
Se pensiamo cambiando il punto di vista scopriamo che possiamo cancellare la parola problema identificandolo come una situazione difficile, non immediatamente risolvibile, composta per intero da piccole situazioni immediatamente risolvibili su cui concentrarsi.
Alla volte si identifica come problema qualcosa che diventa grande col tempo, ma che prima non lo era. Il classico problema di cui le persone parlano è un accumulo di piccole situazioni che sono cresciute e che sono arrivate ad un punto in cui non possono essere più rimandate.
A quel punto lo so anche io che facciamo fatica!
Posso fare una domanda provocatoria a titolo puramente esemplificativo?
Se fondiamo il motore della macchina abbiamo un grosso problema.
Se ci avessimo controllato l'olio quando era il momento lo avremmo avuto?
raccontacelo@gmail.com
giovedì 15 gennaio 2015
volatilità
Stavo pensando che una buona parte di quello che faccio nell'arco di una giornata è comandato dalla volatilità che rende ciò che ho in programma un'incognita fino a quando non sono riuscito a portarla a termine.
Cioè, sono io che vedo male o è proprio così? È pressoché inutile programmare una giornata che nel novanta per cento dei casi andrà diversamente da quanto avevi deciso di fare.
Quindi mi chiedo che senso ha il programmare le cose così come ci dice la nostra società. Che senso ha programmare qualcosa quando so che con buona probabilità succederà un evento che mi costringerà a cambiare buona parte dei miei programmi che magari dovranno ancora essere cambiati?
Quello che mi lascia un po' perplesso è che pare che senza organizzarci non possiamo fare niente.
Il problema è che non siamo organizzati neanche quando lo siamo. Forse.
raccontacelo@gmail.com
Cioè, sono io che vedo male o è proprio così? È pressoché inutile programmare una giornata che nel novanta per cento dei casi andrà diversamente da quanto avevi deciso di fare.
Quindi mi chiedo che senso ha il programmare le cose così come ci dice la nostra società. Che senso ha programmare qualcosa quando so che con buona probabilità succederà un evento che mi costringerà a cambiare buona parte dei miei programmi che magari dovranno ancora essere cambiati?
Quello che mi lascia un po' perplesso è che pare che senza organizzarci non possiamo fare niente.
Il problema è che non siamo organizzati neanche quando lo siamo. Forse.
raccontacelo@gmail.com
mercoledì 31 dicembre 2014
scegliere
Eccomi di nuovo a proporre un altro pensiero.
Sto riflettendo sul perché prendere una decisione, alle
volte, sia così complicato. Mi sono chiesto cosa renda tutto così impossibile e
credo di aver inquadrato la situazione.
Molti pensano che prendere una decisione sia difficile (sto
parlando ovviamente di una decisione importante), se non addirittura
impossibile. Io, però, credo che la cosa difficile sia tutto tranne che
prendere la decisione. Quello è il passaggio più semplice di tutti!
Mi spiego.
Pensate di essere in una situazione di vita o di morte e che
tra la vostra vita e la vostra morte ci sia il dover scegliere se rinunciare ad
un arto o no. Quanto ci mettereste a scegliere? Credo proprio nulla.
Perdonate il pensiero macabro, ma mi ha permesso di
esprimere in maniera semplice il concetto.
Quello che voglio dire è che ciò che ci spaventa è
essenzialmente la confusione che sta prima del momento della scelta e che è
dovuta alla mancanza della certezza che stiamo facendo la cosa giusta, e tutto
ciò che verrà dal momento della scelta in poi, quando dovremo prenderci la
responsabilità di quanto abbiamo deciso.
Tutto questo è confermato dal fatto che si fa più fatica a
buttarsi da un trampolino alto dieci metri piuttosto che dire a qualcuno di
farlo.
Come vedete la situazione così è diversa.
Come fare quindi?
Non lo so! Ovviamente. Ma voglio farvi alcune domande:
-
Possiamo essere certi del fatto che ciò che
stiamo per decidere è la cosa giusta?
-
Possiamo scegliere bene nella confusione del
dubbio?
-
Possiamo non aver paura delle conseguenze?
La risposta a queste domande è sicuramente no.
Possiamo però sapere se ciò che abbiamo deciso è sbagliato
(di solito se lo è ce ne accorgiamo immediatamente). Se nulla ci dà questa
sensazione probabilmente siamo sulla strada giusta, magari non la più giusta,
ma comunque una di quelle buone!
Penso che questo dovrebbe aiutarci a vedere il bicchiere
mezzo pieno.
Possiamo evitare di trovarci a scegliere in maniera
sbagliata mettendo ordine prima evitando di scegliere proprio nel momento meno
adatto. È il famoso contare fino a dieci che non serve a niente se davvero
facciamo come per contare le pecore quando siamo nel letto senza sonno, ma che
diventa importante se ci serve a prenderci il tempo per capire davvero da che
parte prendere il disordine per trasformarlo in ordine.
A questo punto possiamo anche imparare a non avere paura
delle conseguenze perché al massimo cadiamo in piedi! Se siamo sulla strada
giusta non sarà tutto da rifare, ma semplicemente sarà da capire dove andare
man mano che avanziamo. Passo dopo passo con prudenza scopriremo quanto è
semplice.
La scelta, di per sé, è la punta dell’iceberg, per usare un esempio
automobilistico è la curva che ci permette di cambiare anche impercettibilmente
la strada che stiamo seguendo. La sua difficoltà non sta nel farla di per sé,
ma nell’impostarla correttamente e nell’uscirne alla velocità più elevata
possibile.
mercoledì 17 dicembre 2014
l.i.b.e.r.t.à.
Eccomi nuovamente. È passato davvero un secolo dall’ultima volta, ma è successo molto in questo periodo. Cambio di lavoro in primis e novità generali che hanno portato scompensi positivi a tutto il solito tran tran.
Sono tornato a scrivere con lo stesso obiettivo che avevo quando ho lasciato chi stava leggendo i miei articoli: generare pensiero.
È da molto che rifletto sul tema della libertà ed è anche da molto che ho smesso di cercare di darne una definizione perché non è oggettivamente possibile. Libertà è qualsiasi cosa e non è inseribile in cataloghi di alcun genere.
Ho però trovato un modo per approcciarmi a questo tema. E non nascondo che mi sta dando soddisfazioni.
Riesco a vivere la libertà provandone le sensazioni che mi arrivano da tutto ciò che produce. Sono dell’idea che la libertà sia una causa di qualcosa, non una conseguenza come molti sostengono. La libertà ci permette di fare meglio ciò che facciamo già bene, non il contrario.
Ci si accorge di essere liberi soltanto quando si vive la libertà in pieno. Non viceversa.
Si può ricercare la libertà?
Secondo me la risposta è NO.
Si può vivere la libertà?
Certamente.
raccontacelo@gmail.com
martedì 5 agosto 2014
attesa
Eccomi di nuovo.
Sto facendo passare molto tempo tra un post e l’altro. Me ne
rendo conto.
Sto cercando di ascoltare quello che succede intorno e non
nascondo che lo trovo molto interessante.
Ascoltando, ho passato molto tempo ad attendere ed ho
iniziato ad interrogarmi sull’attesa e sulle sensazioni che le stanno intorno.
Io trovo che l’attesa (non l’attendere della coda alle poste) sia un momento
molto bello e, se proviamo a pensarci, lo stimolo che ci porta avanti nella
vita di tutti i giorni è proprio derivato dall’attesa di qualcosa che si
realizzi, che arrivi, che si compia.
Noi viviamo una perenne attesa che ci spinge ad andare
avanti e ci motiva a proseguire.
Se dovessimo vivere senza attendere nulla? Cerco di
spiegarmi meglio.
L’amore, in fondo, non è anche attesa di qualcuno e di
qualcosa? Ci troviamo a vivere un sacco di momenti meravigliosi che sono così
meravigliosi perché abbiamo atteso che arrivassero ed abbiamo imparato a
pregustarli.
Siamo così felici quando compiamo diciotto anni perché, in
fondo, è tutta la vita che aspettiamo quel momento! Quando arriva non è altro
che il compimento dell’attesa che ci ha fatto maturare le sensazioni che siamo
in grado di provare in quel preciso momento, per quel preciso momento.
Vedo l’attesa come un contenitore di emozioni che crescono
ed evolvono e lo vedo come un contenitore di emozioni positive che si
amalgamano creando un composto che, col giusto tempo di maturazione, diventa un
ottimo prodotto da consumare e da gustare.
Ma è tutto davvero così?
Non sono riuscito a farmi un’idea diversa da quanto ho
appena scritto e non sono riuscito a trovare la faccia opposta di questa
medaglia.
Che non ci sia?
martedì 10 giugno 2014
paura/freddezza
Leggendo con piacere un po’ di post ed un po’ di articoli in
giro per il web (molti spunti mi sono venuti dagli amici che leggo sempre volentieri
e che potete vedere citati nei miei blog amici), mi si è presentato un
argomento che sto appositamente evitando ma che ormai trovo casualmente in
troppe occasioni.
E’ ora che ci ragioni sopra.
Per individuare qualcosa bisogna, prima di tutto, cercare di
capire di cosa si tratta. Bisogna averne ben chiara la struttura in modo da
poterla affrontare con i dovuti modi.
Sto ovviamente parlando di paura e freddezza.
Mi sono chiesto spesse volte cos’è la paura e da dove arriva
e non ho mai trovato risposta. Come tutti riesco a provarla in maniera molto
ben definita e, come tutti, faccio fatica a descriverla. Voglio però provare.
Magari qualcuno può dare un’idea diversa ed aiutarmi a creare pensiero.
La paura è una sensazione che vivo come un improvviso freddo
sulla schiena che mi fa immediatamente saltare in piedi impedendomi di trovare
le motivazioni che la alimentano (trovate le motivazioni la paura non ha senso
di esistere).
La paura è, essenzialmente, la mancanza di controllo.
Ho anche pensato molto a quale può essere il suo contrario.
Molti dicono il coraggio, ma io credo sia la freddezza. Il coraggio non può
essere inteso come contrario della paura solo perché decido di lanciarmi da un
ponte legato ad una corda per vincere la fobia dell’altezza. Questa è
incoscienza.
Sono fermamente convinto che il contrario della paura sia la
freddezza che è la reazione istantanea che mi permette di congelare il momento
che sto vivendo per prenderne coscienza ed affrontarlo. Ripeto: trovate le
motivazioni la paura smette di esistere.
Il problema grosso degli esseri umani è che, nel 90% dei
casi, abbiamo la reazione sbagliata: sono pochi quelli che si spostano anche
solo di un metro se c’è qualcosa che gli sta cadendo addosso. Molti si coprono semplicemente
la testa.
Come fare per porre rimedio? Non so, sicuramente
allenamento.
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