mercoledì 30 gennaio 2013

Talento

Mi stavo chiedendo quanto possa valere il talento. Il riferimento sono i 23.000.000€ che sono stati spesi per Mario Balotelli e i 4.000.000 che guadagnerà.
Mi guardo bene dal criticare questa situazione, ma tutto questo mi fa pensare.
Oggi Balotelli firmerà il contratto milionario che lo legherà al Milan fino al 2017, ma poco più di un mese fa (era il 18 di Dicembre) un altro evento mi aveva colpito: faccio riferimento al soldato americano 26enne che è stato sottoposto ad un delicatissimo intervento chirurgico di doppio trapianto di braccia.
La storia in breve  è quella del soldato Brendan Marocco che, durante la guerra in Iraq nel 2009 aveva perso tutti e quattro gli arti salvando miracolosamente la propria vita dopo l’esplosione di bombe nemiche che hanno fatto saltare in aria il furgone che stava guidando.
Quello che sto facendo è mettere in relazione Balotelli all’equipe di medici che ha compiuto l’operazione pur vedendo che l’accostamento stride perché la situazione è contestualmente differente, ma a me, come al solito, interessa il principio. Ricordiamoci che stiamo parlando di talento.
La domanda è: esiste una differenza di talento tra un bravo calciatore ed un bravo medico? (chirurgo in questo caso), se esiste dove sta? Ancora più banalmente mi chiedo, se un calciatore riesce a guadagnare milioni di euro per un talento (che peraltro io non ho!), quanto dovrebbe riuscire a guadagnare quel medico che è in grado di compiere intervinti di tale natura?
Il talento, ovviamente secondo me, è indiscusso per entrambi, ma il valore morale che accompagna questo essere talentuoso non dovrebbe servire a qualcosa?
Stiamo vivendo un periodo di crisi che “dovrebbe” aprire gli sguardi di tutti a ricercare ciò che realmente è utile. Comprare un paio di scarpe, oggi, non è comprarne uno in più, ma comprarne uno perché serve. Mi capita spesso di fermarmi a ragionare su avvenimenti e fatti di questo tipo, ma con il solo gusto di trovare uno spunto interessante per tenere allenata la mente. Ognuno di noi vive le proprie priorità secondo le proprie esigenze. Ma spesse volte mi chiedo quanto siamo condizionati anche nella scelta di quella che crediamo essere una priorità.
raccontacelo@gmail.com

giovedì 24 gennaio 2013

Metodo

Nessuno spunto personale di riflessione, soltanto un estratto dal sito di uno dei più importanti praticanti di Wing-Chun in attività.
Una dedica a chi legge da parte mia scritta di suo pugno, un mio ringraziamento a lui per la passione che ci mette e che trasmette nell’insegnamento.
Per me è iniziato tutto nel Novembre del 2009 ed è una delle cose che mi hanno portato oggi ad essere ciò che sono.
Le parole di Franco:
“Wing Chun, che letteralmente significa “eterna primavera”, è uno dei sistemi di Kung Fu derivati da Shaolin. Si dice che fosse il nome di una donna, Wing Chun Yim, la quale ne apprese le basi dalla monaca Shaolin Ng Mui. Una teoria recente accredita il nome Wing Chun ad una sala esistente all’interno del monastero di Shaolin. Nonostante queste leggende, non verificabili, nella nostra scuola preferiamo interpretare “eterna primavera” come uno stato mentale: avere la mente eternamente giovane in modo da continuare ad imparare come fa un bimbo di 5 anni. Il Wing Chun è un’arte marziale estremamente sofisticata, efficiente e completa. Studia il combattimento a mani nude e grazie ad una pratica costante permette di raggiungere un altissimo grado di condizionamento sia corporeo sia strategico. E’ un metodo scientifico ed in quanto tale va praticato più con gli occhi dello scienziato che del combattente. Il Wing Chun è un sistema di contrattacco (quindi nè attacco nè difesa) che può essere applicato come risposta a qualsiasi assalto fisico. Questa arte non è solo una forma di combattimento a mani nude, ma insegna a comprendere profondamente la meccanica del corpo umano. La sua pratica porta vantaggi sia mentali che fisici anche nella vita di tutti i giorni. Si ottengono infatti una migliore struttura del corpo, un maggior benessere, un senso di consapevolezza acuto, più precisione e maggior controllo delle azioni. Per quanto riguarda il combattimento il Wing Chun insegna l’economia di movimento grazie alla quale si ottiene la massima efficacia. Attraverso un corretto allenamento, che serve a riprogrammare il nostro istinto, il Wing Chun condiziona ad attaccare l’attacco sfruttando il concetto di linea centrale. Inoltre lavora molto sullo sviluppo della sensibilità intesa come capacità di sentire ed adeguarsi all’energia dell’avversario. Il suo principio fondamentale è: “assorbire ciò che arriva, seguire ciò che si allontana e colpire quando c’è il vuoto.” Il Wing Chun fu insegnato pubblicamente solo all’inizio del nostro secolo: prima di allora questo sistema era gelosamente tramandato a pochi allievi scelti e non se ne conosceva l’esistenza. Esso si compone di 3 forme a mano nuda (Siu Lim Tao – Chum Kiu – Biu Jee), una con il manichino di legno (Mok Yan Jong), una con il bastone lungo (Lok Dim Boon Kwun) ed una con i coltelli a farfalla (Bat Cham Dao). La maggior parte del lavoro si svolge in coppia grazie a diversi esercizi, il più famoso dei quali è il Chi Sao (letteralmente “mani appiccicose”). Il Chi Sao non è combattimento, ma costituisce la base per sviluppare una corretta reazione del corpo in base agli stimoli che riceve dal compagno. È importante chiarire che il Wing Chun non è soltanto un sistema di lotta. Se si sta cercando esclusivamente un sistema di auto difesa è più efficace imparare ad utilizzare una pistola. Durante gli ultimi trenta anni, gli aspetti “da combattimento” del Wing Chun sono stati più e più volte enfatizzati, ma ci sono molti altri benefici che si ottengono grazie a questa arte ed è bene non tralasciarli. La sua pratica aiuta ad eliminare i dolori muscolari ed essendo nel contempo un intenso allenamento cardiovascolare, permette di restare in forma e sviluppa resistenza alla fatica, coordinazione, equilibrio, consapevolezza e autocontrollo. L’allenamento, che richiede tempo e autodisciplina, insegna come reagire, senza far distinzione se quello che affrontiamo è una situazione di combattimento o un episodio della vita di tutti i giorni. Il praticante impara a comportarsi con intelligenza e non con rabbia o guidato dall’orgoglio e ad affrontare paura e stress. Insegnando al corpo a reagire agli stimoli in un modo controllato, il Wing Chun si concentra sull’immediatezza, sulla semplicità e sull’economia del movimento. “L’arte di essere pigri” come dice sempre il sifu Nino Bernardo. Il Wing Chun insegna al praticante qualcosa di se stesso, spiega la meccanica del corpo e come mantenere semplicità e efficacia. Inoltre sviluppa una comprensione delle reazioni emotive, insegnando a mantenere il controllo nonostante la rabbia o l’orgoglio. Contribuisce a promuovere il meglio di se stessi ed insegna come eliminare gli aspetti negativi. Il Wing Chun è un sistema che coinvolge interamente corpo + mente e sviluppa la persona nella sua totalità essendo al contempo (ma non solo!) una forma altamente efficace ed immediata di autodifesa.”

venerdì 18 gennaio 2013

Stop

Mi trovo in un momento particolare di vita che mi impedisce di essere lucido su molte cose. È anche un periodo che cozza e non poco con la mia ricerca della felicità. Questo mi mette in seria difficoltà su molti aspetti che sto cercando di indagare.
Ho iniziato tutto questo perché sento fortissima la necessità e l’importanza di vivere felicemente. È davvero incredibile quanto complessa sia la mente umana alla quale basta un semplice cambiamento di stato (in positivo o negativo ovviamente) per condizionare tutto quello che segue negli anni.
Se prendo il momento di vita nel quale mi trovo non posso dire altro se non che sono felice, ma non mi spiego perché c’è sempre un fondo di infelicità. È perché deve esserne una parte indissolubile? È la seconda faccia di qualsiasi moneta?
Si può essere davvero felici al 100% o bisogna abituarsi a vivere anche l’infelicità che viene dai momenti felici? Ancora, dobbiamo essere felici di quell’infelicità perché porta a consapevolezza, carattere o genera addirittura altra felicità?
Di certo un discorso di questo genere non fa altro che farmi entrare in un vortice dal quale diventa impossibile uscire, ma lo condivido perché, magari, qualcuno può aiutarmi a vedere un altro punto di vista.
raccontacelo@gmail.com

giovedì 10 gennaio 2013

Quando il bicchiere è mezzo pieno

Sono passati dieci giorni del nuovo anno e un pensiero mi accompagna.
Voglio presentare un’idea dal film di Fabio Volo “Casomai”  del 2002.
Non è una citazione vera e propria perché non ricordo con esattezza le parole, ma ho ben impresso il concetto che voglio esprimere.
Parto da Adamo ed Eva dicendo che credo sia fondamentale il lavoro perché, senza ombra di dubbio, è quello che ci permette di sopravvivere, ma credo che sia altrettanto importante essere felici perché è quello che permette di vivere.
Per un ragionamento molto superficiale direi che il concetto che voglio esprimere con queste parole, preso per i suoi sommi capi, sarebbe: ti fa stare bene? Fallo! Tra queste due parole, in realtà, ci sono un sacco di variabili che non rendono per nulla facile questo ragionamento.
Il problema è che credo fermamente in questo semplice concetto e non riesco ad abbandonarlo solo perché ci sono uno, dieci, mille imprevisti di mezzo.
Se penso di dover passare tutta la vita a chiedermi come sarebbe se facessi qualcosa di meraviglioso, mentre in realtà faccio tutt’altro senza trarne nessuna gioia, sono convinto che mollerei in questo istante qualsiasi azione perché non avrebbe assolutamente senso. Se penso , però, al fatto che in questo momento sto soffrendo, faticando o qualsiasi altra sensazione “negativa” perché sto muovendo un passo verso la mia felicità, diciamo che riesco a vedere meglio una situazione complessa.
Pensare alla fatica che comporta imparare a suonare uno strumento musicale quando la musica non mi interessa è terribile, ma fare tutta quella fatica perché domani, con quelle capacità, potrei fare parte attivamente del mondo..beh, è un’altra cosa.
Il principio è di una semplicità disarmante, ma è molto lontano dalla facilità e richiede allenamento.
Ma il film? Lo riassumerei con le parole della nonna che con molta semplicità fa notare ai due protagonisti presi dalle difficoltà “normali” della vita che la vita stessa è sacrificio, ma che, nonostante tutto, quando lei era piccola e non c’era tutto ciò che abbiamo oggi, le difficoltà si affrontavano. Di fame non è mai morto nessuno!
Dobbiamo fare quello che ci rende felici. Le difficoltà ci sono, ma si superano perché l’obiettivo vale tutti gli sforzi. Se c’è da tirare la cinghia non stiamo facendo un miracolo! Stiamo vivendo. Dal vivere al morire di fame ne passa.

venerdì 4 gennaio 2013

Festa del 6 Gennaio

Credo che il 6 Gennaio possa essere considerata già la prima verifica dell’anno appena iniziato.
Il carbone o i doni che si ricevono nella notte tra il 5 ed il 6 non individuano le persone buone o cattive, ma sono proprio i mezzi che vengono messi a disposizione.
Svegliarsi e trovare una calza colma di caramelle è piacevole, pensare che dovranno bastare fino alla fine dell’anno forse un po’ meno.
Tutto ciò che si ha ad ogni inizio di ciclo è sempre poco e obbliga al confronto con la realtà costringendo a sviluppare tutto ciò che servirà per crescere ed andare avanti.
Può essere la notte tra i 5 ed il 6 di Gennaio un nuovo capodanno? Mi intriga vederlo come il capodanno più consapevole, quello che, passati i festeggiamenti, mette a confronto con le nostre personali risorse da conoscere, spendere, risparmiare e far crescere durante l’anno.
Una percezione di questo tipo mi fa pensare e mi fa ragionare fin da subito in un’ottica diversa che non vuol essere diretta ad uccidere ogni sorta di positivismo, ma a creare una reale felicità consapevole di quanto effettivamente si ha a disposizione. È molto più semplice e naturale essere felici se si è consapevoli che andare a cercare un barlume di felicità in qualcosa che forse potrebbe accadere.
Come i bambini sono felici di quello che hanno al momento, così anche io cercherò di vivere “diversamente” la mia esistenza; cercherò di abituarmi a vedere che molte cose belle succedono durante tutte le giornate che, per quanto brutte, hanno avuto per forza dei momenti positivi. Bisogna solo essere capaci di rintracciarli e di goderne appieno. Se ci si abitua ad un’analisi di questo tipo ci si abitua anche a creare un automatismo che porta immediatamente senza neanche pensarci a ricordare solo ciò che di bello succede, permettendo un’esistenza piena e soddisfacente.
È questo che mi pongo come obiettivo. Ma non solo per quest’anno.